
Le microplastiche sono ormai anche nei nostri… piatti. Lo rivela uno studio ENEA-Cnr pubblicato sulla rivista internazionale Water. La ricerca evidenzia come questo contaminante si trasferisca dall’acqua dolce alle radici delle piante acquatiche e ai crostacei che se ne cibano, con danni, a lungo termine, per l’intero ecosistema. Il team di ricercatori di Enea e dell’Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri del Cnr ha valutato in laboratorio gli effetti di microparticelle di polietilene (Pe). E’ questa una delle più comuni materie plastiche disperse nell’ambiente, su organismi d’acqua dolce, vegetali e animali.
Esaminati piante acquatiche e gamberetti
Lo studio è stato effettuato utilizzando una piccola pianta acquatica galleggiante, la Spirodela polyrhiza, nota come lenticchia d’acqua, e un piccolo crostaceo d’acqua dolce simile a un gamberetto, Echinogammarus veneris .I risultati hanno dimostrato che le piante, durante l’esposizione, oltre a una lieve riduzione del contenuto di clorofilla, hanno accumulato un elevato quantitativo di microplastiche sulle radici di cui i crostacei si cibano, ingerendone in media circa 8 particelle per esemplare. Inoltre, è stato possibile anche dimostrare come le microplastiche, una volta ingerite dai crostacei, vengano sminuzzate e “restituite” all’ambiente sotto forma di escrementi. Questi possono rientrare nella catena alimentare, cosiddetta “del detrito”, in maniera potenzialmente più pericolosa di quella di partenza.
Un danno per il Dna?
Insomma, le piantine raccolgono le microplastiche e poi i crostacei le mangiano e in gran parte le rimettono nell’ambiente. Ma quali sono gli effetti sulla salute dei piccoli animali acquatici? Non rassicuranti. Gli studi rivelano che dopo sole 24 ore gli esemplari esposti alle microplastiche presentavano “un livello di frammentazione del DNA significativamente superiore rispetto a quelli non trattati. Dimostrando come queste particelle siano effettivamente in grado di indurre un danno al DNA nelle cellule degli organismi studiati”.
Un risultato che fa riflettere
“Questo significa che le microplastiche non sono, come spesso è riportato, materiale inerte che non interagisce con le funzioni degli organismi, ma che, invece, si ‘muovono’ lungo la catena alimentare con effetti diretti anche sull’integrità del patrimonio genetico. E di conseguenza potenziali a lungo termine su popolazioni, comunità e interi ecosistemi”, afferma Valentina Iannilli ricercatrice ENEA del Laboratorio Biodiversità e servizi ecosistemici. “Un risultato che deve far riflettere sulla pericolosità del rilascio nell’ambiente di queste particelle microscopiche derivate dalle attività antropiche. Anche in considerazione della loro diffusione in tutte le matrici ambientali quali acqua, suolo, aria, ghiacci dell’Artico fino ai sistemi agricoli”.